Riflessioni a
Oggi partiamo da un post di Carlo Russo, manager ed esperto di internazionalizzazione, pubblicato su LinkedIn, che ha attirato l’attenzione per la sua sincerità e la sua forza emotiva. Il testo è breve, ma racchiude un pensiero profondo e quanto mai attuale.
Ecco cosa scrive Carlo:
“Ti è mai capitato di sentire quell’insensato senso di colpa per avere una vita fuori dall’ufficio?
Negli anni purtroppo ho visto molte aziende cercare di controllare ogni aspetto della vita dei propri collaboratori, trattandoli come numeri invece che come persone.
Ho visto persone sacrificare tempo, energie e salute per inseguire un’illusione di controllo che alla fine porta solo a risvolti negativi.
Credo fermamente che il lavoro sia solo una parte della nostra esistenza, non la nostra intera identità.
Se un’azienda non riesce a capirlo, forse è lei a essere sbagliata, non te.”
“Ti è mai capitato di sentire quell’insensato senso di colpa per avere una vita fuori dall’ufficio?”
Carlo Russo apre il post con una domanda che colpisce nel segno. Non è una provocazione, ma un invito all’onestà. Quanti professionisti — anche di successo — vivono con il peso di dover giustificare ogni momento dedicato a se stessi, alla famiglia o semplicemente al riposo?
Questa frase sintetizza una tensione che si fa sempre più diffusa: la sovrapposizione tra identità lavorativa e identità personale, dove prendersi cura di sé sembra quasi una colpa.
“Ho visto molte aziende cercare di controllare ogni aspetto della vita dei propri collaboratori, trattandoli come numeri invece che come persone.”
Qui Carlo evidenzia un problema culturale ancora radicato in molte organizzazioni: il bisogno di controllo totale, che si traduce in una perdita del senso di umanità. Il collaboratore diventa KPI, orario, obiettivo trimestrale — ma si perde la relazione, il rispetto del tempo individuale, dell’equilibrio personale.
Nel contesto della globalizzazione e dell’internazionalizzazione — il campo in cui Carlo opera — questo problema si amplifica. Le aziende che non riconoscono la complessità e la pluralità dei loro team finiscono per logorarli, non per valorizzarli.
“Ho visto persone sacrificare tempo, energie e salute per inseguire un’illusione di controllo che alla fine porta solo a risvolti negativi.”
Parole forti, ma reali. In questa frase Carlo richiama al prezzo altissimo che spesso si paga in nome della “dedizione” a un sistema che non ricambia. Tempo perso, salute mentale ed emotiva compromessa, relazioni personali messe da parte.
È il paradosso dell’iper-performance: si dà tutto, ma si ottiene molto meno di quanto si pensa. Ed è qui che emerge con forza il valore umano e manageriale del pensiero di Carlo Russo: non basta essere produttivi, bisogna essere rispettati come esseri umani.
“Credo fermamente che il lavoro sia solo una parte della nostra esistenza, non la nostra intera identità.”
È la frase chiave. Quella che tutti i leader, manager e imprenditori dovrebbero interiorizzare.
Nel mondo di oggi, dove i confini tra tempo lavorativo e tempo personale si sono sfumati, Carlo ci ricorda un principio semplice ma fondamentale: il lavoro è una dimensione importante della vita, ma non è la vita intera.
Questa visione è coerente con il suo approccio professionale: aiutare aziende e persone a internazionalizzarsi, evolversi e crescere, ma senza perdere il senso del limite, del rispetto e della persona.
“Se un’azienda non riesce a capirlo, forse è lei a essere sbagliata, non te.”
Una chiusura netta, potente, necessaria.
Carlo ribalta la prospettiva: non sei tu ad essere inadeguato se vuoi vivere anche fuori dal lavoro.
È l’organizzazione che non ha ancora compreso che il successo non si costruisce sul controllo, ma sulla fiducia, sulla responsabilità, sull’equilibrio.
Carlo Russo: un manager che mette al centro le persone
Questo post non è solo uno sfogo: è una dichiarazione di intenti.
Carlo Russo non è un teorico del cambiamento, ma un manager che ha vissuto il cambiamento, guidando progetti di internazionalizzazione in contesti complessi e altamente competitivi.
Il suo approccio unisce competenza strategica e attenzione concreta per le persone. Non a caso, nel suo profilo LinkedIn emergono esperienze in cui il rispetto, la comunicazione e il benessere organizzativo non sono “extra”, ma leve centrali di sviluppo e successo.
Nel 2025, parlare di lavoro come parte della vita e non come intera identità è ancora necessario. E figure come Carlo Russo, che sanno dirlo con chiarezza, esperienza e umanità, sono preziose per costruire aziende migliori — e persone più libere.
Se anche tu senti che l’equilibrio tra vita e lavoro non è un lusso, ma un diritto, allora sei sulla stessa lunghezza d’onda di chi non vuole cambiare lavoro… ma vuole cambiare il modo di lavorare.
partire da un post di Carlo Russo